Daniele Segre/Ha Keillah

Mi ha fatto molto piacere leggere su Ha Keillah di Febbraio alcune impressioni sul film Sinagoghe, ebrei in Piemonte, ma mi ha fatto ancor più piacere constatare che il film ha creato “stimoli forti” sul significato delle forme e dei linguaggi espressivi che ho utilizzato per raccontare un viaggio non solo di luoghi ma anche di volti, che in un certo senso mi appartengono da quando sono nato e con i quali, in modo molto personale, ho voluto riprendere contatto. Riprendere contatto, come quando, dopo un lungo viaggio, c'è bisogno di guardare dove sei e che cosa stai facendo, non solo con i pensieri ma anche con le azioni di tutti i giorni. Per lungo tempo nella mia adolescenza la sinagoga è stata una vera e propria casa: mio padre e mia madre hanno lavorato per la Comunità Ebraica di Torino e abitavamo in Comunità; molto tempo l'ho passato a osservare mio padre che preparava la sinagoga per lo Shabbat e mia madre che spolverava le panche del tempio. Insomma casa e sinagoga, come d'altronde i miei avi rabbini, responsabili religiosi di Comunità, come quella di Casale Monferrato e non solo. è chiaro che chi si aspettava un film “istituzionale” non può che essere rimasto deluso: il film non lo conforta e non lo appaga. Infatti vedere le sinagoghe deserte e talvolta inattive non fa certo piacere, il mio è stato un viaggio anche doloroso che mi ha fatto riflettere su cosa può essere oggi l'ebraismo piemontese, sicuramente non morto ma in una fase di grande e complessa trasformazione che lascia dietro a sé un passato “forte” al contrario di un presente “debole” di cui anch'io, espressione di una generazione di ebrei piemontesi “di mezzo”, mi sento responsabile. La scelta delle musiche klezmer è una libertà poetica necessaria e funzionale all'architettura visiva, ho scelto di sacrificare aspetti di filologia stretta per valorizzare la visione e il ritmo del racconto, senza però trascurare i “canti locali”, interpretati con grande intensità e rispetto della tradizione ebraico/piemontese da Rav Weiss Levi e da Franco Segre e gli aspetti d'integrazione linguistica degli ebrei con il territorio del Piemonte attraverso la sequenza delle “voci giudaiche/piemontesi”.
Livelli di rappresentazione diversi e intersecati per offrire spunti di arricchimento narrativo e interpretativo (ognuno, per fortuna, è libero di leggere il film come vuole), tutto comunque per attivare una comunicazione per un pubblico il più ampio possibile, al quale si racconta, tra l'altro, attraverso testimonianze significative una parte della storia degli ebrei italiani riferita alle leggi razziali e alla deportazione nei campi di sterminio, alle lotte per l'emancipazione e il rispetto dei diritti di cittadinanza. “Il viso intenso e stralunato che pare capitato nel film per caso…” è quello di un ebreo praghese che trovata la porta aperta della sinagoga di Casale Monferrato è entrato per pregare nel giorno del capodanno: la sua presenza non programmata nel mio viaggio per Sinagoghe piemontesi l'ho vissuta come un segno positivo, come quando a Pesach devi lasciare la porta aperta per i viandanti che cercano una casa per celebrare il Seder. è stato un incontro vitale e emozionante di cui ho voluto approfittare, consapevole del grande contributo che mi sarebbe stato dato anche dal punto di vista simbolico. Come sono grato al baritono Alberto Jona di aver accolto il mio invito a cantare il Kaddish di Ravel nella sinagoga di Mondovì e per lo Scemà di Rav Alberto M. Somekh cantato nella sinagoga di Torino, scene che per me rappresentano il punto d'unione tra il passato, il presente e il futuro.
Quindi grande, complessa, a volte conflittuale vitalità di una realtà, non senso di morte, vitalità sempre e comunque alla ricerca di una identità non ancora perduta e che per fortuna nessuno “ebraicamente a modo suo” vuole perdere.
Non mi sono mai posto l'obiettivo di realizzare un documento esaustivo sull'ebraismo piemontese, non ne sarei stato capace e comunque non è mai stato il mio intendimento. Il film lo considero innanzitutto un atto d'amore e di fedeltà ai valori con i quali sono cresciuto e con i quali, in modo contraddittorio, mi confronto tutti i giorni.